Solitamente non scrivo di materiali, ma questa volta sono stata folgorata. In occasione dell’anniversario dei 110 anni dalla fondazione, Del Savio 1910 – azienda che opera sul territorio di Pordenone e Spilimbergo – ha deciso di rinnovare la propria tradizione: l’antica arte della palladiana diventa così protagonista di una rivisitazione in chiave contemporanea, grazie all’art direction allo studio Zanellato/Bortotto.
Una scelta davvero azzeccata, perché lo studio, fondato nel 2013 e con base a Treviso, ha seguito in questi anni molti progetti, approfondendo una costante ricerca e reinterpretazione delle tecniche artigianali tradizionali.
A sua volta, Zanellato/Bortotto hanno scelto di coinvolgere la textile designer olandese Mae Engelgeer e lo studio libanese di interior e art design David/Nicolas: una scelta molto interessante, a mio parere, che ha portato a risultati strepitosi.
Nascono così nove collezioni che valorizzano dieci marmi italiani abbinabili ad altrettante tonalità di cemento.
Il pavimento alla palladiana porta con sé il fascino delle dimore signorili ma anche un pezzo di storia. Risale infatti all’epoca degli antichi Romani la tecnica dell’opus incertum, la tipica pavimentazione realizzata con pietre di tagli diversi e irregolari. Rivalutata da Andrea Palladio che ha impiegato questa tecnica diffusamente nelle sue architetture, anche la palladiana utilizza scaglie di pietra e le accosta una all’altra in maniera non uniforme e libera da schemi geometrici: ne risultano tramature ricche e sempre diverse.
Questo know-how nasce nel pordenonese (Friuli Venezia Giulia), proprio dove Del Savio ha la sua sede, e si inserisce all’interno della tradizione del terrazzo e del mosaico radicata nella zona di Spilimbergo, città in cui dal 1922 è tutt’ora attiva una scuola mosaicisti conosciuta in tutto il mondo.
Queste informazioni, sommate alle prime foto che ho visto nella cartella stampa, mi hanno fatto venir subito voglia di saperne di più. Ecco quindi alcune domande che ho rivolto a Giorgia Zanellato e Daniele Bortotto.
Avete una predilezione per le tecniche artigianali tradizionali: come vi siete approcciati a questo nuovo progetto?
Sicuramente la predilezione per le tecniche artigianali è presente nel nostro lavoro fin dall’inizio, è un po’ una costante nei nostri progetti.
I fratelli Del Savio ci ha contattato oltre un anno fa con l’intenzione di disegnare una collezione di complementi d’arredo in marmo. Fin da subito questo approccio però non ci ha convinti: scoprendo di più sulla storia dell’azienda, che è in attività da 110 anni, e frequentando la sede, dove è presente un grande campionario degli anni Cinquanta, abbiamo quindi elaborato un progetto che portasse l’azienda a posizionarsi in un modo nuovo all’interno del settore delle superfici.
Un nuovo ciclo per Del Savio, in continuità con quello che già erano le esperienze precedenti, con il know-how dell’azienda, ma tenendo anche presenti le esigenze del mercato attuale, con la necessità di far percepire il valore del marmo in confronto alle alternative più economiche.
Abbiamo quindi preso ispirazione da una tradizione più ampia, non solo locale ma nazionale, l’abbiamo reinterpretata e così abbiamo elaborato queste tre collezioni.
Quali fonti e ispirazioni vi hanno fatto da guida?
Abbiamo guardato tanto all’archivio di Del Savio e ai campionari anni Cinquanta esposti nei loro uffici. Cerchiamo, in generale, di trovare ispirazione all’interno delle aziende per cui lavoriamo, senza andare troppo lontano.
Avete scelto di coinvolgere colleghi che arrivano da lontano (Olanda e Libano). Come pensate che le influenze esterne e trasversali possano arricchire un progetto così strettamente legato al luogo in cui si è sviluppato?
Desideravamo avere uno sguardo esterno su una tradizione italiana, un’interpretazione da parte di chi proprio non ne conosceva la storia.
I due studi che abbiamo scelto hanno specializzazioni diverse: lo studio David/Nicolas lavora soprattutto nel campo dell’interior design e delle edizioni limitate per le gallerie, mentre Mae Engelgeer lavora soprattutto su pattern e disegni per il tessile, su texture bidimensionali e materiali diversi.
Quindi da un lato abbiamo scelto lo sguardo di un progettista che conosce già il mondo dell’interior design e che ha già lavorato con il marmo nei suoi progetti, mentre Mae ha un approccio più astratto allo studio della materia: in questo modo abbiamo ottenuto interpretazioni molto diverse della palladiana, così da arricchire e completare la proposta per Del Savio.
Mi sembra che il fil rouge sia una certa rottura con l’elemento di improvvisazione che – in certi limiti – è applicato alla posa della palladiana. Voi vi siete concentrati su una rielaborazione dell’opus incertum romano, concentrandovi sulle fughe. Due dei tre pattern prevedono elementi in pietra/marmo irregolari e fughe amplificate nel loro spessore. Il terzo pattern rielabora ulteriormente: ogni lastra è stata tagliata in sezioni e poi ricomposta, mentre le fughe diventano linee regolari e sovrapposte, perdono all’apparenza la loro funzione tecnica per diventare elementi puramente grafici. Questa è naturalmente la mia interpretazione, volete correggere o aggiungere dettagli per comprendere meglio i vostri pattern?
Noi abbiamo lavorato su un’ispirazione che arriva dalla palladiana, a partire dal nome (Opus Certum), anche se in realtà il nostro progetto è quello più casuale a livello pratico, perché è nato facendo e capendo come ottimizzare al massimo le risorse dell’azienda.
Ci siamo ispirati alla palladiana classica, ma dandole un ritmo, attraverso la composizione e il colore: in Vague abbiamo mantenuto l’uso delle fughe tradizionale, ma i pezzi di pietra vengono realizzati attraverso il taglio di una macchina utensile anziché a mano. Ciò crea quindi un disegno più preciso rispetto a quello della palladiana classica. In Dot abbiamo voluto inserire un elemento grafico più distintivo, mentre in Optic l’ispirazione arriva anche dalle nostre ricerche verso il lavoro di alcuni grafici del passato che hanno lavorato molto sull’optical, come Franco Grignani.
La matrice dei tre disegni è sempre la stessa, la rielaborazione digitale è avvenuta a partire dalle stesse linee, anche se poi i risultati sono molto diversi tra loro.
Come ha funzionato il rapporto con gli altri designer? Mae Engelgeer mi pare si sia ispirata ai disegni, alle prospettive, agli alzati e alle piante di Andrea Palladio. In che modo avete diretto il suo lavoro per ottenere questo risultato? David/Nicolas hanno invece ancora più esplicitamente rotto con la tradizione, disegnando con marmi e cementi pattern geometrici e assolutamente regolari. All’apparenza qui della palladiana resta solo l’accostamento tra pietre e cementi, mentre i pattern ricordano l’intarsio. Come avete lavorato con loro?
Abbiamo lasciato David/Nicolas e Mae Engelgeer piuttosto liberi, non siamo intervenuti molto sui loro progetti dal punto di vista stilistico, perché ci interessava proprio poter proporre stili diversi tra loro, così che l’azienda avesse una serie di opzioni adatte alle esigenze di ogni progettista.
Siamo intervenuti esclusivamente per aggiustare il tiro su alcuni dettagli, per ottimizzare le produzioni e per scegliere i marmi più adatti per le loro caratteristiche tecniche, con il supporto delle competenze interne all’azienda.
Sul sito di Del Savio ogni pattern della collezione è accompagnato da una suggestione fotografica, un’ambientazione con una didascalia che richiama alla mente ricordi d’infanzia, tempi sospesi del giorno (dall’alba al tramonto), momenti speciali: trovo sia un modo molto efficace non solo per mostrare l’uso dei rivestimenti in diversi contesti della casa, ma pure per trovare una connessione con il cliente che guarda le foto e legge le didascalie. Avete curato anche il diario della collezione?
Siamo partiti proprio da questo: abbiamo volutamente cercato di ricreare una giornata tipo per raccontare l’uso del marmo in momenti e ambienti diversi.
Foto e testi sono stati richiesti esplicitamente da noi per completare il progetto con una narrazione.
Sempre sul sito, è possibile configurare ciascun pattern a proprio gusto, combinando le 10 tipologie di marmo, le 10 tonalità di cemento e le 3 finiture. Quanto credete che sia importante oggi lasciare una certa libertà di scelta al progettista/cliente, così da permettergli di ottenere un prodotto unico e tailor-made?
Pensiamo che uno dei punti di forza del progetto sia la qualità dei materiali: i marmi e i cementi sono stati scelti anche per offrire ai progettisti un prodotto che si possa personalizzare, così da ottenere un risultato unico: si sceglie il disegno, ma poi questo disegno si può declinare in mille modi, anche con combinazioni di colore molto diverse da quelle che abbiamo scelto di proporre a catalogo.
Come sono stati scelti i 10 marmi?
La selezione è avvenuta a partire dai marmi più utilizzati dall’azienda: di nuovo, la parete dei campionari è stata un ottimo punto di partenza, anche se alcuni marmi presenti non sono oggi più disponibili.
Abbiamo scelto due marmi provenienti dalle Alpi Carniche, sette italiani e solo uno straniero: abbiamo dovuto sostituire il Verde Alpi con il Verde Guatemala per questioni tecniche, perché quello italiano era troppo fragile per le nostre esigenze.
Abbiamo alternato marmi pregiati a marmi più “economici”, che siamo però stati in grado di nobilitare, così da offrire un ventaglio di opzioni il più ampio possibile, in grado di accontentare i bisogni di qualunque cliente.
Infine, cosa avete imparato durante questo progetto? Come avete arricchito il vostro bagaglio di ispirazioni, conoscenze e competenze?
Abbiamo avuto l’occasione di comprendere che è sempre giusto seguire il nostro istinto: più cresciamo a livello di esperienza, più mi rendo conto che quando abbiamo un’idea comune dobbiamo seguirla senza farci influenzare da fattori esterni. Siamo stati molto fermi subito su alcuni punti e abbiamo ottenuto ottimi risultati.
Naturalmente abbiamo anche imparato molto a livello tecnico: il marmo è una continua scoperta e speriamo di continuare ad approfondire, perché alla fine un materiale non si conosce mai fino in fondo.
Il progetto con Del Savio conferma il nostro interesse ad avere a che fare con aziende particolari, con una storia e legate a un certo territorio, che vale la pena riscoprire e reinterpretare: vorremmo continuare a esplorare questo terreno, per continuare a fare qualcosa di innovativo con le competenze già disponibili nella tradizione.
Il frutto di questo lavoro è per noi la prova che artigianato e tradizione possono essere strumenti preziosi per valorizzare il presente e immaginare il futuro: usandoli con attenzione e cura possiamo tracciare insieme alle aziende percorsi per costruire nuovi scenari creativi e produttivi.